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martedì 18 febbraio 2014

ECCO PERCHE' HAI SEMPRE FAME




» La biochimica dell’appetito

L’appetito, che può essere definito come il desiderio di cibo, rappresenta l’espressione psicologica di un impulso biologico fondamentale, senza il quale moriremmo.
Nonostante l’aumento dei casi di anoresia nervosa, nella nostra società il desiderio di cibo supera spesso le necessità dell’organismo. Negli Usa gli individui sovrappeso costituiscono più del 50% della popolazione. In Italia, pur essendo ancora lontani dai record americani, un adulto su due supera il peso forma, mentre i veri e propri obesi stanno aumentando con un ritmo preoccupante.



L’individuazione dei meccanismi che regolano l’assunzione del cibo rappresenta uno dei grandi interrogativi della ricerca fisiologica che sembra aver trovato qualche risposta solo in questi ultimi anni.
Risalgono al 1939 le prime osservazioni sperimentali di due fisiologici, A.W. Hetherington e S.W. Ranson, sul rapporto tra cervello e comportamento alimentare. I due scienziati notarono che certe lesioni in una determinata area dell’ipotalamo, e più precisamente quella ventromediale, provocavano una fame smodata e una conseguente obesità negli animali da laboratorio, mentre, al contraio, lesioni in un’area più laterale procurarono svogliatezza, riduzione dell’alimentazione e perdita di peso.
Hetherington e Ransono conclusero che l’ipotalamo era dotato di due centri con funzioni opposte rispetto all’assunzione di cibo: l’area ventromediale inibisce l’appetito, mentre quella laterale lo stimolo. Le due aree vennero anche chiamate “della sazietà” e “della fame”.
Oggi, dopo l’accumularsi di una grande mole di evidenze scientifiche, gli studiosi sono convinti che il meccanismo che regola l’assunzione del cibo sia fondamentalmente sotto il controllo del sistema nervoso centrale. L’estrema semplificazione dei due centri con funzioni opposte appare superata, non tanto perchè non esistano effettivamente i centri della fame e della sazietà, ma piuttosto perchè mangiare è un comportamento estremamente complesso che, quindi, viene regolato da numerosi fattori che interessano altre aree cerebrali e nervose oltre a quelle ipotalamiche.


In definitiva, tutti questo complessi meccanismi molecolari costituiscono l’alfabeto di una lingua che permette una comunicazione continua tra cervello e apparato digerente; conoscerne la grammatica ci permette quindi di intervenire in maniera mirata e di correggere eventuali errori.

[Tratto da “La salute ritrovata” di U. e G. Scapaglini.

Il tonno: perché è importante ridurne il consumo

18 Febbraio 2014 alle 09:37 scritto da nicoletta

 Noi italiani siamo grandi consumatori di tonno, secondo le statistiche una media di 20 chilogrammi l’anno a testa. Che si tratti di filetti (la parte dorsale) o ventresca (la parte più grassa dell’addome), cotto o crudo, acquistato in pescheria o in scatola, è indubbiamente un cibo di facile preparazione e di ottimo sapore. Un tempo era considerata la carne dei poveri perché costava poco, pur essendo estremamente nutriente, con ottime proteine e acidi grassi Omega 3. Ma oggi come oggi è ancora giusto e sostenibile il consumo di tonno? In realtà, sarebbe opportuno limitarne il consumo. Dario Bressanini nel suo best-seller Le bugie nel carrello ha dedicato un intero capitolo all’argomento, intitolato “Tre buoni motivi per non mangiare il tonno”.
Innanzi tutto il consumo di tonno non è più sostenibile dal punto di vista delle riserve ittiche. A questo proposito è importante distinguere tra le due qualità di tonno più presenti sul mercato: il primo è il tonno rosso del Mediterraneo, il più pregiato dal punto di vista gastronomico, usato dai ristoranti giapponesi per preparare sushi e sashimi. Lo stock di questo pesce è in via di esaurimento: i grandi tonni non si trovano più, gli esemplari pescati sono sempre più giovani e piccoli e per questo è comune la pratica di catturarli e ingrassarli in gabbie, impedendo però la riproduzione della specie.
La seconda qualità di tonno, che troviamo sia fresco in tranci che in scatola è il cosiddetto “tonno a pinna gialla”, di taglia più piccola e di carni leggermente meno pregiate. Proviene quasi esclusivamente dall’Oceano Indiano. Il consumo di questa varietà è leggermente più sostenibile, ma anch’esso è già minacciato.
In secondo luogo, trattandosi di un pesce di grandi dimensioni e quindi alla fine della catena alimentare, il tonno accumula molte sostanze tossiche, tipicamente i metalli pesanti come cadmio, piombo e soprattutto mercurio. I controlli esistono, ma per la salute di bambini, anziani e donne in gravidanza, l’abuso nel consumo di questo pesce non è consigliabile. Quando acquistate dal pescivendolo del tonno fresco in tranci, state attenti che il pesce non sia di quelli enormi, intorno ai 100 chilogrammi, perché più grandi sono i pesci, più sono vecchi e più hanno assorbito mercurio.
Il tonno ha bisogno di essere conservato a temperature particolarmente basse perché viene facilmente attaccato da batteri che trasformano un amminoacido in esso contenuto in istamina, causando intossicazioni anche gravi. Questo vale anche per il tonno in scatola, perciò si consiglia di consumare il tonno soltanto quando si è certi che la catena del freddo sia sempre stata rispettata.
Il consumo di tonno crudo è poi pericoloso per la presenza del parassita Anisakis, che muore invece alla cottura oppure con l’abbattimento della temperatura a -30 °C per almeno due giorni.

L’incredibile memoria dei pesci rossi

 

Il pesce rosso è uno degli animali domestici più comuni e amati dalle persone, in particolar modo apprezzato per la sua vivacità ed energia.
Tuttavia, pochi sanno che, oltre alla simpatia, questo pet è dotato anche di una grande intelligenza.
Secondo un gruppo di ricercatori dell’ Università di Plymouth, nel Sud Ovest dell’ Inghilterra, il cervello dei pesci rossi non ha niente da invidiare a quello di un uccello o di un mammifero di piccole dimensioni.
In seguito a un esperimento condotto dal professor Phil Gee, è, infatti, stata dimostrata l’ottima capacità mnemonica che questi vertebrati possiedono.
Gli scenziati che guidavano la ricerca hanno addestrato i pesci a mangiare a una precisa ora del giorno, utilizzando una sorta di trabocchetto, ossia una leva posta nella loro vasca; spingendo quest’ultima, i pesci ricevevano come premio del cibo.
Gli animali, attraverso questo procedimento, hanno quindi imparato a nutrirsi quando volevano.
Successivamente il mangime è stato distribuito solo in determinati orari e i pesci hanno compreso che, avvicinandosi alla leva all’ora prestabilita, avrebbero potuto sfamarsi.
Ma non è finita qui, anche un’università israeliana ha condotto studi sull’intelligenza dei vertebrati, dimostrando che questi ultimi possiedono un’ottima memoria, arrivando a ricordare eventi accaduti persino 5 mesi prima.
I ricercatori dell”Institute of Technology Technion di Haifa hanno dapprima preso un gruppo di pesci, insegnando loro ad associare uno specifico suono al momento in cui ricevevano il pasto, poi dopo un mese di training, li hanno rilasciati in mare aperto.
Nei 4 mesi successivi ai medesimi pesci è stato fatto riascoltare il suono associato al cibo, e con grande stupore degli studiosi, tutti gli esemplari si sono diretti nel punto in cui avrebbero ricevuto il mangime.

Alessandra Bottaini

 

IMPORTANTISSIMO: ECCO COME SALVARSI DA UN INFARTO QUANDO CI SI TROVA DA SOLI

 

Succede, spesso, che la persona colta da attacco di cuore in quel momento si ritrovi sola e senza aiuto. Il cuore comincia a battere in modo improprio e la vittima ha solo 10 secondi prima di perdere conoscenza.
Tuttavia, queste vittime possono aiutare se stessi ad agire prontamente per cercare di salvarsi la vita. Una delle cose che bisogna prontamente fare è il tossire ripetutamente e vigorosamente. Un respiro profondo deve essere eseguito prima di ogni colpo di tosse, e la tosse deve essere profonda,  prolungata e vigorosa, come se fosse prodotta dall’interno del torace. Un respiro e un colpo di tosse deve essere ripetuto ogni due secondi senza fermarsi fino a quando si sente che il cuore batte normalmente. Respiri profondi trasportano l’ossigeno ai polmoni e la simulazione della  tosse spinge il cuore a mantenere il sangue circolante. Esercitare anche una pressione di compressione sul cuore aiuta a ripristinare il ritmo normale. In questo modo la vittima di attacco di cuore può sperare in una ripresa immediata tanto da permettergli di arrivare in ospedale per ricevere le cure più opportune.
E’ importante che chiunque legga questo articolo lo diffonda condividendolo con più persone possibili. Un cardiologo dice: “Se, chiunque riceva questo messaggio, lo invia a 10 persone, si può scommettere che salveremo almeno una vita.”
(Sperando di non dover mai sperimentare condividiamo rimanendo in attesa di smentite da parte di competenti medici cardiologi).
(FONTE: http://il-mercantedellenote.blogspot.it/2014/01/come-salvarsi-da-un-infarto-quando-ci.html)